Dal sangue nuove indicazioni sui tumori ematologici nei bambini

Uno studio italiano ha individuato le varianti di un gene che possono aumentare il rischio di sviluppare leucemie e sindromi mielodisplastiche

 

Due rare mutazioni di un gene, identificate attraverso un semplice prelievo di sangue, possono aumentare il rischio di sviluppare i tumori ematologici nei bambini. È quanto emerge da uno studio italiano della Fondazione Tettamanti e pubblicato sul Blood Cancer Journal che potrebbe aprire nuove e preziosissime strade sulla storia e la conoscenza di patologie gravi e pericolose come le leucemie e le sindromi mielodisplastiche.

 

Fino a qualche anno fa a queste forme non venivano attribuite predisposizioni familiari: oggi, grazie ai passi in avanti compiuti dalla ricerca, è possibile capire che nel 5-10% dei casi di tumori oncoematologici pediatrici possono esserci condizioni genetiche ereditarie. Nel corso dello studio, i ricercatori hanno individuato le varianti di due geni delle coesine (i complessi proteici che garantiscono la corretta segregazione cromosomica) in due piccoli pazienti, dimostrando anche che la presenza di queste stesse mutazioni è correlata ad alterazioni che comportano un danneggiamento del DNA e una ridotta capacità da parte delle cellule di ripristinarlo. Conseguentemente, le due condizioni che si generano possono dare origine a leucemia e mielodisplasia. Ma vediamo di capire meglio.

 

Gli screening hanno riguardato 120 bambini con leucemia linfoblastica acuta (LLA). Oltre a questi ne sono stati coinvolti altri 19 nelle cui famiglie c’erano casi di LLA o di leucemia mieloide acuta, e due bambini con sindrome mielodisplastica. Il sequenziamento di ultima generazione del loro DNA ha evidenziato due varianti del gene STAG1 mai emerse fino a quel momento su bambini nelle stesse condizioni. Molto rare, queste mutazioni si trovano nella regione dove generalmente compaiono quelle legate allo sviluppo del tumore (oncogenesi). Per analizzare in quale modo queste varianti agiscono nella crescita del tumore, gli studiosi sono partiti con il prelevare il sangue periferico dei piccoli pazienti dal quale hanno fatto crescere in coltura linee cellulari composte dai linfociti presenti proprio nel sangue prelevato. A seguito di un’analisi con i donatori sani si è visto come i danni del DNA fossero molto maggiori e il risultato è stato anche confermato quando le linee cellulari sono state stimolate con radiazioni per generare un danno alla doppia elica del DNA: le cellule normali riescono a riparare il danno, mentre quelle dei pazienti con le mutazioni del gene STAG1 hanno ridotte capacità di intervento.

 

Il prossimo step sarà quello di capire l’iter con cui danni di questo tipo possono portare allo sviluppo dei tumori del sangue, provando nel tempo a individuare ulteriori strategie per prevenirne l’insorgenza.