I donatori? Persone felici del gesto che compiono e che per noi è vita

La storia di Marco Bianchi, talassemico, che vive a Ferrara con la moglie e i due figli: «La prima trasfusione l’ho ricevuta che avevo 11 mesi. Se oggi sono un padre e un marito felice lo devo a chi, ogni giorno, compie questo gesto solidale»

 

Quando inizia a parlare si capisce subito cosa rappresenti per lui chi, ogni giorno, compie il gesto etico, volontario e non remunerato: «I donatori sono persone straordinarie, felici e orgogliose di quello che fanno. Parlandoci si percepisce cosa generi nel loro animo il fatto di permettere a tanti come me di potersi curare e vivere. Sono la parte più bella della nostra società». Lui è Marco Bianchi, 56 anni il prossimo ottobre. Vive a Ferrara insieme alla moglie Elisa e ai figli Miriam (19) e Giulio (17).

 

I “tanti come me” di cui parla sono coloro che convivono con la sua stessa patologia: la talassemia. Ma se oggi Marco è sereno e, con due sacche ogni 15 giorni, può condurre una “vita piena” per usare le sue stesse parole, il cammino per arrivare fino a qui non è stato sempre semplice: «Da bambino la mia situazione era piuttosto grave. All’età di 6-7 anni vedevo gli altri pazienti che all’epoca avranno avuto circa vent’anni in condizioni fisiche deficitarie. Era un momento storico in cui chi aveva questa patologia difficilmente viveva a lungo dopo i 30. I regimi trasfusionali, nel corso del tempo, ci hanno permesso di arrivare a un livello come oggi in cui, seppur con qualche difficoltà, possiamo condurre uno stile di vita normale». Per lui l’appuntamento con la prima trasfusione arriva prestissimo: «Avevo circa 11 mesi, ma mi ritengo fortunato – ricorda – Avvertii qualche sintomo strano e i miei genitori decisero subito di indagare in maniera approfondita. Diciamo che i pazienti della mia generazione hanno dovuto superare diversi ostacoli per arrivare alla condizione in cui siamo oggi».

 

Marco BianchiMarco Bianchi

Primo tra tutti lo smaltimento del ferro. Se infatti, come lo stesso Marco lo definisce, «il sangue è la nostra benzina», allo stesso tempo «abbiamo dovuto fare i conti con accumuli di ferro che in un modo o nell’altro andava smaltito. In più in tanti hanno contratto l’epatite C, con conseguenti ripercussioni a livello epatico che sono andate dallo sviluppo della cirrosi fino al tumore del fegatoIo ho avuto la fortuna di iniziare subito con le terapie giuste alle quali ho risposto in maniera positiva, nonostante due ablazioni cardiache a cui mi sono dovuto sottoporre insieme all’asportazione della milza». Eppure, ciò che traspare è la voce di un uomo sereno e soddisfatto di ciò che ha: «Grazie ai progressi compiuti e all’impegno straordinario dei donatori, le procedure di sicurezza sono molto più stringenti, la qualità degli emocomponenti è assoluta al 100% e anche la raccolta è ben organizzata. Dispiace che, in alcuni territori, soprattutto nel periodo estivo, si verifichi ancora qualche carenza. Un problema che, per chi è nella mia stessa condizione, rischia di essere fatale».

 

Fortunatamente, nella provincia di Ferrara, Marco non ha dovuto fare i conti con tutto ciò neppure durante la pandemia: «Ero preoccupato, quello sì. Vedevo e sentivo situazioni di allarme e speravo che il sangue ci fosse sempre ed effettivamente qui non è mai mancato. Sono rimasto però molto intristito dalle tante fake news e teorie strampalate che per tanto tempo non hanno fatto altro che creare confusione e alimentare i timori in noi pazienti. Allo stesso tempo, ho però avuto la riprova di come la maggioranza delle persone non si fosse mai fatta condizionare davvero da queste minoranze, spesso rumorose e fastidiose, ma comunque ristrette».

 

Da genitore e paziente, poi, ci tiene a lanciare un messaggio alle nuove generazioni: «Diventare donatori significa essere parte di un movimento solidale in cui si mette a disposizione una piccola parte di sé che per tanti vuol dire vita. Un qualcosa di straordinario che i giovani devono provare. Io ho fiducia in loro – conclude – e so che c’è tanta generosità e voglia di fare nelle nostre ragazze e nei nostri ragazzi. Donare è un modo bellissimo per mettere in pratica tutto questo e per contribuire a consolidare il legame fraterno che si crea tra tutti noi. Significa darci modo di essere qui e raccontare le nostre storie, un qualcosa che ci unisce ancora di più».

 

LEGGI la testimonianza di Angela