La malattia mi ha fatto capire che la donazione è vita

Valentina Grasselli è affetta dalla malattia di Rendu-Osler-Weber, una forma rara del sangue che provoca frequenti sanguinamenti. Per GOCCIAdopoGOCCIA ci racconta la sua esperienza: «Dopo ogni trasfusione è come se fossi una persona nuova»

 

 

Ha un nome complicato, in particolare all’ascolto. Si chiama malattia di Rendu-Osler-Weber. È una forma rara che, pur avendo come sintomo più frequente un semplice sanguinamento, con il tempo può diventare invalidante per chi ne è colpito. È provocata da una malformazione dei vasi sanguigni e molto spesso chi ne è affetto non ne è a conoscenza. La sua pericolosità sta nel coinvolgimento di polmoni, fegato e cervello, con emorragie che possono avere serie ripercussioni: trasfusioni e ricoveri sono spesso necessari per intervenire nei casi più complicati.

 

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Valentina durante un’esibizione

Con questa patologia convive ormai da diversi anni Valentina Grasselli, di Caerano San Marco, un comune in provincia di Treviso. È una trainer posturale e di pilates, ma si occupa anche di biomeccanica del movimento sia per chi si deve riabilitare che per gli atleti. Cosa che era anche lei: «Lo sport è stato da sempre parte integrante della mia vita. Ciclismo e alpinismo le mie attività preferite, ma a livello agonistico praticavo sci». Tutto questo va avanti per diverso tempo. Valentina è una donna brillante, piena di interessi, tra cui la musica, visto che è anche cantautrice. Nel 2010, però, qualcosa comincia a cambiare: «Mi trovavo in Umbria e ho iniziato ad avvertire una forte debolezza e dagli esami del sangue vedo che l’emoglobina è molto bassa».

 

Una prima diagnosi identifica un’anemia sideropenica grave, una condizione che si verifica quando nell’organismo il ferro non è a livelli adeguati: la conseguenza è la compromissione del trasporto di ossigeno attraverso il sangue da cui si generano fiato corto e, appunto, stanchezza. In più si aggiunge un altro fattore: «Io non solo non produco e non immagazzino ferro – spiega – ma ne sono addirittura allergica. Assumerlo significa andare incontro a uno shock». Passa qualche anno e visto lo stato di salute apparentemente migliorato, Valentina smette di ripetere i ciclici esami del sangue. Fino al 2013, quando la forte fiacca si affaccia di nuovo: «Ripeto il prelievo e, stavolta, non faccio in tempo a rientrare a casa che dalla clinica mi chiamano per dirmi che ho l’emoglobina a 6 e che devo farmi visitare necessariamente. Nel frattempo – racconta – a seguito di un controllo ginecologico scopro di avere un fibroma che, fortunatamente, mi viene tolto rapidamente e senza effetti collaterali».

 

All’ospedale di Bassano del Grappa gli accertamenti proseguono e nel novembre dello stesso anno per Valentina iniziano le trasfusioni: «Ne feci quattro in tre giorni – ricorda – e lì ho imparato l’importanza della donazione e le differenze che ci sono con il plasma e tra i differenti gruppi. Chiunque compie questo gesto, in quel preciso momento, è diventato per me fonte di vita: ho capito che senza scorte di emocomponenti non potrebbe essere garantito alcun servizio di assistenza». Tutto risolto? Macché.

 

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Valentina Grasselli

Arriviamo all’estate 2016 quando un ascesso cerebrale consente di capire che la donna ha un’angiodisplasia nel polmone destro: nei fatti i vasi sanguigni si uniscono l’uno con l’altro, formando un unico vaso senza filtri. «Ricoverata a Vicenza mi dicono che la causa va ricercata in uno streptococco, anche se non ben identificato». Le trasfusioni proseguono e nel 2019 di ascesso cerebrale ce n’è un altro, ma stavolta più aggressivo: Valentina fa due giorni di coma. La diagnosi definitiva arriva a seguito di questo episodio: «Ho una serie di angiodisplasie sparse nell’organismo che, nel momento in cui iniziano a sanguinare, provocano l’abbassamento dell’emoglobina. Quella nel polmone misura tre centimetri».

 

Oggi la vita della donna prosegue normalmente: ogni 3-4 mesi riceve una sacca, l’ultima proprio nel giorno più rappresentativo di questo gesto, il 14 giugno, quando si celebra la Giornata mondiale del donatore di sangue: «Se non ci foste io sarei morta. Ogni volta che finisco una trasfusione per me è come essere una persona nuova. Sapere che gli emocomponenti ci sono è fonte di serenità – conclude – e questa serenità nasce dalla solidarietà di chi compie questo gesto così semplice e straordinario».