La buona riuscita di un trapianto dipende anche dalla disponibilità di emocomponenti
Per GOCCIAdopoGOCCIA, il professor Fabrizio Di Benedetto, Direttore della Chirurgia Oncologica, Epato-bilio-pancreatica e dei trapianti di fegato dell’AOU di Modena, spiega l’importanza che sangue, plasma e piastrine ricoprono anche in sala operatoria
C’è un ambito della medicina a cui spesso non si pensa quando si parla dell’importanza della donazione di sangue ed emocomponenti. Assicurare scorte negli ospedali, infatti, è certamente fondamentale per consentire ai pazienti cronici, in primis i talassemici, di ricevere le trasfusioni salvavita, ma anche per fare in modo che le procedure d’urgenza non si arrestino. Tra queste, c’è la chirurgia.
L’Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico di Modena da diversi anni rappresenta un’eccellenza nel nostro Paese e un punto di riferimento a livello internazionale per gli enormi passi in avanti compiuti nei trapianti di organi solidi, in particolare con l’introduzione della chirurgia robotica. Ricerca scientifica costante e innovazioni tecnologiche all’avanguardia che permettono ogni anno all’AOU di effettuare, solo per il fegato, oltre 100 trapianti, con un programma attivo anche di trapianti da donatore vivente.
Il professor Fabrizio Di Benedetto, Ordinario di Chirurgia Generale presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, e Direttore del reparto di Chirurgia Oncologica, Epato-bilio-pancreatica e dei trapianti di fegato dell’Azienda Ospedaliero Unversitaria di Modena, per la puntata di oggi della rubrica GOCCIAdopoGOCCIA, ci spiega quanto fondamentale sia la donazione di emocomponenti per consentire il regolare svolgimento di questi interventi salvavita.
Professore, il Policlinico di Modena rappresenta un punto di riferimento, non solo in Italia, per la chirurgia dei trapianti: possiamo citare qualche numero che spieghi di che attività parliamo?
«Abbiamo lavorato molto negli ultimi quattro anni, incrementando progressivamente l’attività trapiantologica grazie al contributo dei tanti specialisti della nostra Azienda Ospedaliero Universitaria che partecipano allo studio dei pazienti candidabili al trapianto di fegato. In generale la rete della Regione Emilia-Romagna ha una tradizione molto positiva, con bassi tassi di opposizione alla donazione e un coinvolgimento direi capillare nel processo donativo delle terapie intensive e rianimazioni presenti sul territorio. Tutto questo nel contesto di un network nazionale che ha mostrato la sua solidità in una prova difficile come quella della pandemia. Nel Centro Trapianti di Modena oggi si eseguono oltre cento trapianti di fegato ogni anno, con un programma attivo di trapianto di fegato da donatore vivente che rappresenta il 6,8% dell’attività e un’attenzione particolare alle nuove indicazioni oncologiche come il trapianto per metastasi epatiche da tumore del colon e per tumore delle vie biliari. Anche il trapianto di rene annovera delle importanti innovazioni, come il prelievo eseguito con tecnologia robotica nel trapianto da donatore vivente, e il trapianto robotico di rene nei pazienti obesi».
La “Modena ARTS Foundation”, inaugurata di recente, va in questa direzione?
«La nostra Fondazione ha una duplice finalità: da una parte fornire un supporto ai pazienti trapiantati e alle loro famiglie, che spesso arrivano da regioni lontane e devono affrontare importanti problemi logistici; dall’altra promuovere la ricerca e l’innovazione tecnologica nel campo della robotica e dei trapianti, fungendo da ponte tra la realtà sanitaria e quella civica, e promuovendo una cultura della salute».
Quanto è importante per l’attività trapiantologica il gesto dei donatori?
«“Semplicemente” senza donazione non ci sarebbe il trapianto. E questo vale sia per la donazione da vivente, un gesto di immensa generosità e altruismo, tanto quanto per la donazione dopo morte cerebrale, trattandosi tra l’altro di un momento di grande sofferenza per i familiari del donatore. Eppure, grazie alla grande solidarietà dei donatori e dei loro cari, anche in un momento così difficile può nascere una speranza per le tante persone in attesa di un organo. La donazione, grazie alla sua natura volontaria e gratuita, rappresenta probabilmente il gesto di maggiore altruismo che la nostra società sia in grado di esprimere oggi. Lo stesso dicasi per la donazione di sangue e di emocomponenti, che rappresenta un cardine di questa attività chirurgica e che permette di ridurre le complicanze peri-operatorie, nonché di trattare particolari condizioni di disfunzione del fegato».
Il Covid ha comportato cali nella raccolta di emocomponenti e interruzioni dell’attività chirurgica: anche a Modena è capitato?
«Come accennavo prima, il nostro centro si è avvalso del lavoro di tutti gli specialisti dell’AOU di Modena, compreso lo staff di Direzione e di Igiene, con i quali abbiamo creato percorsi puliti “Covid-free” dedicati ai pazienti prima, durante e dopo il trapianto. Questo ci ha permesso di dimettere regolarmente tutti i pazienti trapiantati in questi ultimi due anni, ovvero 186 riceventi e 10 donatori viventi, senza che nessuno contraesse il virus durante il ricovero».
Possiamo stimare quante sacche di sangue vengono utilizzate durante un trapianto?
«È un dato estremamente variabile che dipende dalle caratteristiche cliniche del paziente e dalle condizioni di deterioramento del fegato con cui giunge al trapianto. Non tutti i pazienti infatti arrivano ad avere necessità di un trapianto di fegato per insufficienza epatica acuta. Pertanto, è possibile che un paziente non necessiti di trasfusioni di sangue, ma ad esempio di piastrine o di plasma, come anche si verificano casi di pazienti affetti da gravissimi quadri di trombosi venosa portale o mesenterica che possono richiedere diverse di unità di sangue».
La quantità utilizzata varia tra tipologie di trapianto? E per la chirurgia robotica?
«Non è tanto il tipo di trapianto ad influire, quanto la condizione clinica del paziente. Viceversa, l’utilizzo di tecniche mini-invasive come la chirurgia robotica, riduce sensibilmente la necessità di emotrasfusioni, limitando in maniera significativa il rischio di sanguinamento intraoperatorio. Si tratta infatti di tecniche chirurgiche che apportano vantaggi specifici quali l’ingrandimento dell’immagine fino a 10x, la visione tridimensionale, l’uso di strumenti molto piccoli che consentono di eseguire interventi chirurgici con estrema precisione e meticolosità. Tutto questo riduce il tasso di complicanze e anche il rischio di sanguinamento, con conseguente riduzione della necessità di trasfusione».
Cosa succederebbe se le scorte di sangue e plasma venissero meno?
«Ci troveremmo ad affrontare un rischio operatorio molto alto, esponendoci all’eventualità di eventi catastrofici per il ricevente e, quindi, per l’organo trapiantato. Ci sono strategie complementari come l’emorecupero intraoperatorio, grazie a speciali macchine che processano il liquido aspirato in corso di intervento, e il pre-deposito di emazie concentrate che si può eseguire in casi selezionati prima dell’intervento. Si tratta tuttavia di soluzioni che non ci mettono al riparo completamente dagli eventi che possono verificarsi in un intervento complesso come il trapianto di fegato, soprattutto nel primo periodo post-operatorio, e non sostituiscono assolutamente la possibilità di avere a disposizione le unità di sangue necessarie per la trasfusione. Raccomando a tutti di donare il sangue perché da questo piccolo grande gesto può dipendere realmente il buon successo di un trapianto e la vita di tante persone».