Ai pazienti come me dico: non perdiamo l’entusiasmo di fare
La storia di Giorgio, 19enne talasso-drepanocitico: «I donatori mi permettono di studiare e di progettare il futuro. Grazie a loro posso sfruttare il dono più bello che ciascuno di noi ha: la vita».
Il modo migliore per raccontare questa storia forse è partire con le parole del suo stesso protagonista: «Bisogna essere sempre orgogliosi e fiduciosi di ciò che abbiamo, perché il dono che ci è stato fatto è uno solo e il più importante: si chiama vita dobbiamo onorarla». Lui si chiama Giorgio Vindigni. Ha 19 anni ed è originario di Modica, in provincia di Ragusa. Ogni 45-50 giorni deve curarsi: la sua malattia si chiama talasso-drepanocitosi. Come lui la definisce «è una sorta di fase di passaggio dalla talassemia all’anemia falciforme», due malattie ereditarie del sangue che vedono nelle trasfusioni di sangue una vera e propria procedura salvavita.
L’esperienza di Giorgio come paziente cronico inizia prestissimo, dopo nemmeno 4 anni di vita: «Iniziai subito ad avvertire i primi dolori – racconta – ma quelle che in un primo momento potevano sembrare le canoniche coliche dei bambini, nel mio caso erano le prime crisi della malattia». E infatti di lì a poco comincia a prendere confidenza con le trasfusioni. In realtà in maniera piuttosto casuale, a 6 anni: «Ero a scuola e stavo giocando con un mio compagno di classe. Ci siamo volutamente scontrati per scherzo, ma a me si deviò il setto nasale: mi portarono in ospedale per essere operato immediatamente e fu necessario infondermi sangue. Da quel momento è stato come se il mio organismo si fosse già abituato a ricevere emazie nuove e quindi ho continuato». La terapia che segue oggi viene definita di eritroexchange: si tratta di una procedura che effettua ogni 45-50 giorni e che, nell’arco di un’ora e mezza, gli consente di “scambiare” 5-6 sacche. «Mi fanno sedere sulla poltrona con un ago nel braccio sinistro e uno nel destro – spiega – mentre da una parte prelevano il mio sangue malato, dall’altro mi infondono quello sano. Il tutto si ripete ogni volta a causa del malfunzionamento del mio midollo».
Nel corso degli anni, ricerca e tecnologie hanno contribuito a far evolvere la sua terapia, passando dal gesto manuale del medico a quello automatico di un macchinario che rende la seduta più rapida. Tuttavia, la strada per arrivare fino a qui è stata lunga, con Giorgio tra gli 8 e i 10 anni passa diversi periodi in ospedale a causa delle crisi. Ma lui racconta con molta serenità e determinazione quello che sta facendo, anche ripensando a un periodo particolarmente delicato sotto il profilo socio-sanitario come quello del Covid: «Negli anni l’unica cosa che non mi è mai mancata è stato il sangue dei donatori e anche durante la pandemia il loro impegno mi ha permesso e mi permette di essere qui. All’inizio dell’emergenza ho avuto qualche timore essendo un paziente fragile, ma mi ritengo fortunato per essere nato e potermi curare in una realtà d’eccellenza come Ragusa». Realtà dove Giorgio ha anche aperto un’agenzia che si occupa di processi di marketing e cura dell’immagine per le aziende. E in tutto questo lui studia Medicina all’estero, a Sofia: come sei arrivato fino a lì? «In realtà avevo fatto il test d’ingresso, superandolo, sia a Catania che a Bologna – ricorda – poi ho accompagnato mio padre in un viaggio di lavoro in Bulgaria e mi sono ritrovato a parlare con alcuni studenti che mi hanno fatto cambiare idea, anche alla luce del fatto che lì studio tutto in inglese. Mi piacerebbe proseguire specializzandomi poi in Chirurgia, ma ancora ho tempo».
Tante idee, sogni e progetti concreti: tutto unito da uno stesso filo conduttore, la voglia di «fare il possibile per celebrare al meglio il dono più bello che i miei genitori potessero farmi: la vita».
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