«La nostra terapia salvavita ridotta da due mesi perché manca il sangue»
Michela e la sorella Benedetta sono talassemiche, vivono in Sardegna e il calo della raccolta sul territorio si sta facendo sentire. La mamma Anna: «Abbiamo paura perché non sappiamo se e quante sacche potranno ricevere le mie figlie»
La carenza di sangue in Sardegna sta generando apprensione ormai da settimane. E a confermarlo sono proprio coloro che, grazie a quello stesso sangue, possono curarsi e vivere: i pazienti.
Michela e Benedetta sono due sorelle di 14 e 18 anni. Vivono con la mamma e il papà a Sestu, un comune della provincia di Cagliari. Sono entrambe talassemiche dalla nascita perché i genitori sono portatori sani di questa patologia. Come tanti altri, oggi convivono con una situazione di emergenza che a causa del calo della raccolta si sta ripercuotendo sulla loro terapia. Ce lo racconta Michela, la più piccola che, nonostante la timidezza, spiega senza mezzi termini che «da ormai due mesi le trasfusioni a cui dobbiamo sottoporci con mia sorella sono state ridotte. Io dovrei ricevere due sacche ogni 20 giorni (ha iniziato che aveva 14 mesi, ndr), mentre invece ne sto avendo solo una, così come Benedetta (lei ha iniziato a 8 mesi, ndr) a cui, addirittura, dovrebbero assicurarne tre ogni 15 giorni». Avete letto bene. Un trattamento letteralmente dimezzato. E dire che la Sardegna è una regione dove di donatori ce ne sono eccome: è dei giorni scorsi, infatti, l’iniziativa del calciatore del Cagliari, Leonardo Pavoletti, e di altri atleti di società sarde, di recarsi al centro trasfusionale dell’ospedale Brotzu proprio per rispondere alle carenze di sangue segnalate sull’isola.
Anna, la mamma, ci viene incontro fornendo un quadro ancor più dettagliato della situazione: «Nelle strutture pubbliche il personale sanitario è sotto organico, spesso a causa dei contagi da Covid. Il problema negli ultimi mesi si è accentuato in maniera decisa e questo genera paura e apprensione: non sappiamo se e quante sacche saranno disponibili per le mie figlie e non è una situazione accettabile». Per i malati di talassemia, infatti, le trasfusioni non servono soltanto a mantenere i valori di emoglobina nella norma, ma anche ad impedire che il midollo “lavori” eccessivamente con conseguenti ripercussioni sull’apparato scheletrico dei pazienti. A questo va poi aggiunta la terapia di supporto necessaria ad abbassare la quantità di ferro che si accumula tra una trasfusione e l’altra. Anna, di professione insegnante, nonostante il pensiero costante sul momento che si sta vivendo sull’isola, ricorda però che «la qualità della vita per i pazienti talassemici è migliorata nettamente. Fino a diversi anni fa l’aspettativa non andava oltre l’adolescenza, mentre oggi ogni attività della vita quotidiana può essere portata avanti insieme alle trasfusioni periodiche». Sia Michela che Benedetta vanno a scuola, fanno sport, suonano: tutto si integra nella “normale routine”.
Tuttavia, del rammarico c’è. Anzi, per dirla tutta, è proprio rancore: «Io resto sbalordita dalla leggerezza con cui vengono messe in circolazione tante stupidaggini sui donatori, sulla qualità del sangue e sui vaccini. Trovo che sia un atteggiamento criminale quello che tante persone stanno assumendo – prosegue – un attentato alla sicurezza collettiva. Se non fosse per i donatori stessi, per la Avis del nostro territorio o per i medici che assistono le mie figlie, noi che fine faremmo? Trovo che la libertà di opinione sia una cosa, mentre gli attacchi strumentali e le offese a chi fa il possibile per tutelare la vita degli altri vadano puniti severamente».
Quindi come comportarsi? «Donare, donare sempre, perché il sangue non serve solo alle mie figlie e a chi ha la loro stessa malattia. Interventi chirurgici, attività di emergenza dopo un incidente stradale, nulla di questo sarebbe possibile se non avessimo scorte a sufficienza. Compiere questo gesto – conclude – significa salvare la vita al prossimo».