L’impegno con Avis e quella sfida inattesa per dire stop ai pregiudizi

La storia di Maria Cilurso, volontaria della sede di Squillace, in provincia di Catanzaro, e modella curvy: «Amare sé stessi è la più bella risposta alla violenza, sia fisica che verbale»

 

Lo spirito solidale, quello che ti porta a fare qualcosa per gli altri, non si compra al mercato. O c’è o non c’è. A volte sono le esperienze che permettono a questo lato caratteriale di venire fuori. Tante altre è l’ambiente in cui si cresce, in cui si riceve l’educazione: la famiglia. Diciamolo senza tanti problemi, avere un donatore dentro casa è di incentivo per i più giovani che, una volta compiuta la maggiore età, hanno modo di avvicinarsi a questo gesto così altruista.

Maria Cilurso ha 35 anni. Vive a Petrizzi, in provincia di Catanzaro, anche se è nata a Chiaravalle Centrale. La mamma è un’ex donatrice, mentre il papà e il fratello donano ancora. Nonostante il desiderio di fare anche lei la sua parte, Maria purtroppo deve ancora aspettare e, probabilmente, sarà un’attesa lunga. La connettivite è una malattia rara autoimmune da cui è affetta e che, anche per via della terapia cronica che deve seguire, le impedisce di donare il sangue. Ma non di dare una mano nella sede dell’Avis Comunale di Squillace, con cui collabora dallo scorso maggio, e né di contribuire, con la sua forza di volontà, a combattere i pregiudizi e le violenze verbali che troppo spesso si sono ripercosse anche su di lei. Perché? Perché purtroppo, per qualcuno, l’alibi per offendere una persona è rappresentato da colore della pelle, religione, gusti sessuali o, nel caso di Maria, aspetto fisico. E in una giornata come oggi in cui si grida ancora una volta “no” alla violenza sulle donne, la sua storia e il suo riscatto assumono un sapore ancora più buono.

 

Maria Cilurso_2Maria Cilurso

Maria, tu sei una modella curvy: raccontaci le tappe che ti hanno portata fino a qui.

«È successo tutto per caso. Qualche anno fa entrai nel negozio di fotografia di una mia amica perché mi servivano delle fototessere per rinnovare un documento. Mi disse che secondo lei ero fotogenica e mi propose di posare per alcuni scatti. Iniziarono a prendere vita dei piccoli progetti volti a far capire che la bellezza non è rappresentata solo dalle modelle alte e magre, ma anche da donne normali, con le loro curve e la loro naturalezza».

 

Un hobby, insomma. Poi però qualcosa cambia, giusto?

«Ero a Soverato con una mia amica e un uomo mi rivolge un apprezzamento molto poco felice: Dal collo in su sei molto bella, ma in giù devi lavorarci parecchio. Lì per lì non ho avuto la forza di replicare, mi sono sentita offesa e umiliata per quella frase. Poi però, attraverso la pagina Facebook nella quale, con la mia amica fotografa, avevamo iniziato a pubblicare i primi scatti, mi arriva il messaggio di una ragazza che mi scrive che grazie alle mie fotografie aveva trovato il coraggio di uscire di nuovo di casa, di ignorare gli insulti che riceveva e di smettere di vergognarsi del suo aspetto».

 

Il tuo aspetto non ha niente, anzi, è purtroppo un effetto di un qualcosa di serio: ce lo racconti?

«Io ho una malattia rara autoimmune che si chiama connettivite. È una forma reumatica che ha origini ereditarie dall’artrite da cui erano affette entrambe le mie nonne. Le lunghe terapie che ho dovuto effettuare, e che proseguo tuttora, mi hanno fatto gonfiare e prendere peso e, inizialmente, prima che la cura mi venisse cambiata, anche comportato la perdita dei capelli».

 

Maria Cilurso_3Maria con la maglietta dell’Avis

Da tutto questo emerge uno spirito solidale e una sensibilità spiccata verso gli altri. E non solo a parole. Un qualcosa in cui un ruolo prezioso lo gioca l’Avis

«La donazione di sangue fa parte di me, perché sono figlia e sorella di donatori. Il fatto di non poter compiere anch’io questo gesto mi genera rammarico, ma confido in futuro di poter iniziare. Tuttavia, il mio impegno come volontaria è quotidiano. Qui a Squillace, dallo scorso maggio, ho trovato una famiglia che mi ha permesso di ricominciare a portare avanti con impegno e passione la mia attività di volontaria Avis, in particolare la presidente Barbarina Cristofaro che è stata anche la mia insegnante alle scuole superiori. Quando organizziamo le giornate di raccolta io mi occupo dell’accoglienza, do informazioni alle persone che vengono a donare, controllo la temperatura come previsto dalle normative anti-Covid: insomma, ci sono sempre, sia in sede che con le autoemoteche».

 

Un percorso lungo, però, prima di arrivare a Squillace: cosa ti porti dietro di più?

«Il primo contatto con l’Avis fu a Petrizzi, il mio paese di residenza. Poi l’episodio per me più caro fu l’incontro con Marina Leone, presidente dell’Avis Comunale di Locri, ma soprattutto moglie del procuratore capo di Catanzaro, e donatore a sua volta, Nicola Gratteri. Mi chiese di aiutarla come volontaria durante le raccolte di sangue nelle caserme dei carabinieri presenti sul territorio: potete immaginare per me, figlia di un carabiniere, che orgoglio fosse avere la possibilità di ricambiare quanto l’Arma avesse fatto per me e per la mia famiglia nel corso degli anni».

 

Maria CilursoMaria in un altro degli scatti per cui ha posato

Oggi è una data importante: che messaggio ti senti di mandare alle donne e alle nuove generazioni, alla luce delle continue violenze verbali e fisiche da cui siamo circondati?

«Ci tengo prima di tutto a dire una cosa: io non faccio la modella curvy per diventare la paladina di qualcuno. Il mio è stato solo l’effetto di una reazione che ho avuto a fronte di un’offesa. La cosa più importante in assoluto è amarsi e piacersi per ciò che si è, solo così si può stare bene con sé stessi. Le persone che abbiamo intorno non devono condizionarci, al centro ci dobbiamo essere noi. Quello che è successo a me deve far capire che la violenza non si esprime solo con calci e pugni, ma anche con le parole e il tono della voce. Nessuno ha il diritto di poterci giudicare e insultare perché siamo donne o per il nostro aspetto o per qualsiasi altra caratteristica che, agli occhi di un superficiale, viene considerata un alibi per attaccarci. Ognuno di noi ha le sue particolarità e sono proprio queste a renderci unici. E se agli altri non piacciamo, amen. L’importante è piacersi con chi vediamo nello specchio».