Un esame del sangue può predire l’evoluzione del Covid
È il risultato di uno studio condotto dall’Azienda Ospedaliero Universitaria di Modena. Il test si basa sull’analisi della morfologia dei monociti
Si chiama Monocyte Distribution Width. In italiano, letteralmente, sarebbe “larghezza di distribuzione dei monociti”. È un esame che permette, grazie al sangue, di capire quale sarà l’evoluzione della malattia generata dal Covid-19 e lo stato iper-infiammatorio che la caratterizza. Il test, che consiste nell’analisi della morfologia dei monociti appunto, (una popolazione specifica di cellule che abbiamo in circolo), è il risultato di uno studio condotto dall’Azienda Ospedaliero Universitaria di Modena, più precisamente dalla Medicina di Laboratorio dell’Ospedale Civile di Baggiovara, dall’Anestesia e Rianimazione del Policlinico, (diretta dal prof. Massimo Girardis), dall’Ematologia (diretta dal prof. Mario Luppi), dal reparto Malattie Infettive (diretto dalla prof.ssa Cristina Mussini) e dal team di ricercatori dell’università di Modena e Reggio Emilia (diretto dal prof. Andrea Cossarizza).
Pubblicata sulla rivista Scientific Reports, la ricerca ha preso in considerazione 87 pazienti ricoverati per Covid nei reparti di cura intensiva e subintensiva, nei quali MDW è risultato essere correlato in modo altamente significativo con alcuni classici biomarcatori di infiammazione, con l’esito delle cure (outcome) e con il decorso clinico e la gravità della malattia. Quando vi è uno stimolo prodotto dell’attivazione del sistema immunitario, come nel caso di infezioni sia batteriche che virali, si modifica la morfologia dei monociti.
«Con le nuove apparecchiature a disposizione – spiega il professor Tommaso Trenti, Direttore del Dipartimento Interaziendale di Medicina di Laboratorio – siamo in grado di misurare in laboratorio l’entità di queste alterazioni cellulari. Nel nostro studio siamo riusciti a descrivere il significato biologico ed il ruolo prognostico di questo nuovo parametro ematologico, chiamato appunto MDW, nel monitoraggio di pazienti ospedalizzati utilizzato come innovativo biomarcatore utile per la diagnosi precoce di sepsi virale, ovvero di grave infezione».
Nel corso dell’indagine i valori alterati di MDW sono stati associati a mortalità elevata che ha toccato anche picchi del 35%. Al contrario, sottolinea il professor Girardis, «valori bassi permettono di individuare i pazienti con forti possibilità di guarigione». Come ha spiegato la professoressa Mussini, «l’utilizzo di nuovi marcatori prognostici consente di migliorare la gestione clinica dei pazienti Covid, guidandoci in particolare nel trattamento con i farmaci più appropriati. Questo studio è un ulteriore tassello che ci permette di comprendere meglio una patologia che, solo un anno fa, era nuova e sconosciuta».