Cosa succede quando c’è un deficit di ormoni nel sangue
Dall’ipotiroidismo alla carenza dell’ormone della crescita, i fattori che non consentono di donare e i rischi che generano sui pazienti con insufficienza cardiaca
Si chiama ipotiroidismo. È una condizione che si genera quando la tiroide non produce una quantità sufficiente di ormoni, provocando così uno squilibrio al nostro organismo. Può essere generato da molteplici fattori come malattie autoimmuni, farmaci, rimozione chirurgica della tiroide stessa o, addirittura, può essere congenito. Raramente provoca sintomi evidenti, ma protraendosi nel tempo può provocare seri problemi di salute.
È uno dei fattori che precludono la possibilità di donare il sangue così come la carenza del cosiddetto “ormone della crescita”. Si tratta di una proteina prodotta da una piccola ghiandola posta alla base del cervello, chiamata ipofisi, a sua volta controllata dall’ipotalamo, un’altra area cerebrale. Svolge un ruolo importante nella gestione del metabolismo, agendo su ossa, muscoli e fegato grazie alla produzione delle sostanze responsabili dell’accrescimento osseo. Sui tessuti interviene producendo effetti come l’aumento di trigliceridi e glucosio nel sangue o della sintesi delle proteine. In sostanza, il compito dell’ormone della crescita è quello di stimolare la costruzione di organi e tessuto. Di fronte a un suo deficit, anche in questo caso la donazione di sangue ed emocomponenti viene preclusa.
Tuttavia, l’ipotiroidismo e la carenza dell’ormone della crescita sono anche al centro di una ricerca, condotta dalla Scuola di Medicina e Chirurgia dell’università Federico II di Napoli, che ha dimostrato che il deficit di ormoni nel sangue raddoppia il rischio di mortalità nei pazienti con insufficienza cardiaca. Lo studio, pubblicato sull’European Journal of Preventive Cardiology (EJPC), si è basato su TOSCA, il Registro di osservazione multicentrico a cui partecipano 19 centri di ricerca italiani e stranieri e coordinato proprio dall’ateneo napoletano. Istituito nel 2013, permette di incrociare i dati clinici riguardanti oltre 500 pazienti. Nonostante i miglioramenti nella terapia medica, lo scompenso cardiaco rimane una malattia ad elevatissima mortalità: circa 20% ad un anno e 50% a 5 anni da un episodio di ospedalizzazione, peggio di molte forme di cancro.
La mortalità nei pazienti affetti da scompenso cardiaco arriva al 23% tra coloro che sono affetti da deficit ormonali multipli.