Covid-19, uno studio spiega perché gli effetti sui pazienti ematologici sono più gravi

La ricerca è stata effettuata dal gruppo “Italian Hematology Alliance on Covid-19”, in rappresentanza delle principali società nazionali che operano in questo ambito. Sono stati coinvolti 536 pazienti ricoverati in 66 ospedali italiani

Donare il sangue è fondamentale, in particolare per i pazienti oncoematologici che hanno necessità di costanti terapie. Terapie che non possono essere interrotte soprattutto in un periodo così complicato come quello che stiamo attraversando a causa della pandemia.

 

Lo studio condotto dal gruppo “Italian Hematology Alliance on Covid-19”, in rappresentanza delle principali società nazionali che operano in questo ambito (Società Italiana di Ematologia, Società Italiana di Ematologia Sperimentale, Gruppo Italiano Trapianto Midollo Osseo, Sorveglianza Epidemiologica Infezioni nelle Emopatie e Fondazione Italiana Linfomi) ha coinvolto 536 pazienti ricoverati in 66 ospedali italiani tra il 25 febbraio e il 18 maggio 2020 e ha dimostrato come coloro che sono alle prese con un tumore del sangue siano soggetti a un rischio doppio di contagio del virus, nonché di mortalità rispetto al resto della popolazione, riportando anche sintomi più gravi. I risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Lancet Hematology.

 

Neoplasie ematologiche come leucemie, sindromi mielodisplastiche, neoplasie mieloproliferative, linfomi e mieloma multiplo possono essere potenzialmente curate o avere una sopravvivenza migliorata in una frazione considerevole di casi: ecco perché, in base a quanto emerge dalla ricerca, le infezioni possono ridurre l’aspettativa di vita. I pazienti con neoplasie ematologiche hanno generalmente un’immunodeficienza di lunga durata a causa della neoplasia stessa, dei trattamenti antitumorali o in conseguenza di procedure come il trapianto di cellule staminali ematopoietiche. Sono stati pubblicati diversi piccoli studi sul risultato di pazienti con neoplasie ematologiche e Covid-19: al 22 giugno 2020, l’Italia aveva 239.627 casi accertati di contagio, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, di cui 33.498 (13,9%) deceduti. Questo studio di coorte multicentrico, retrospettivo, ha incluso pazienti adulti di età uguale o superiore ai 18 anni, con diagnosi di neoplasia ematologica e Covid-19 sintomatico confermato in laboratorio. L’obiettivo primario era stabilire il tasso di mortalità e la valutazione dei potenziali parametri predittivi della stessa lungo un follow-up mediano di 20 giorni. Dei 451 pazienti ospedalizzati, 440 (quindi la quasi totalità) hanno completato il percorso ospedaliero, con dimissioni o, nei casi peggiori, il decesso. Dei 536 complessivi, 198 sono deceduti. 

 

Per tutti, durante il ricovero, sono stati raccolti dati su parametri di laboratorio, possibili complicazioni, esposizione al farmaco e risultati (ad esempio ricovero in terapia intensiva, decesso o dimissioni). I dati sulle caratteristiche e gli esiti dei pazienti sono stati estratti dai ricercatori dello studio da cartelle cliniche elettroniche o indici come età, sesso, comorbidità di Charlson, tipo e stato di neoplasia ematologica, tempo trascorso dalla diagnosi di neoplasia ematologica a quella di Covid-19, tempo trascorso dall’ultima terapia del tumore ematologico per diagnosi e livello di gravità del virus. Quando si confrontava la mortalità nella coorte con la popolazione generale con Covid, risultava che la mortalità dei pazienti con neoplasie ematologiche positivi al virus era quasi quattro volte superiore a quella della popolazione generale. In ambito ematologico, i pazienti di età inferiore ai 70 anni sono spesso candidati a trattamenti come il trapianto di cellule staminali ematopoietiche e hanno un’alta probabilità di sopravvivenza a lungo termine o di ottenere una potenziale cura. Confrontando questi pazienti con una coorte non Covid-19 con neoplasie ematologiche, è invece emerso che la mortalità dei pazienti con neoplasie ematologiche e positivi era 41 volte superiore a quella di coloro che risultavano invece negativi. 

 

I risultati dello studio suggeriscono che non è giustificato rifiutare trattamenti specifici efficaci ai pazienti con neoplasie ematologiche durante la pandemia Covid-19, soprattutto perché l’effetto immunosoppressivo dei trattamenti è di lunga durata. Nel caso dell’infezione da SARS-CoV-2, il tipo e lo stato della malattia sono i principali fattori di esito. Misure preventive meticolose sono cruciali in questo contesto e sono necessarie sperimentazioni future su trattamenti antivirali specifici. Sarà necessario stabilire piani per la futura vaccinazione anti-Covid prioritaria per pazienti e operatori sanitari.