Omosessualità e donazione del sangue,
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Quello della donazione degli omosessuali è un tema di stretta attualità, che vede nell’Italia un modello a cui sempre più Paesi fanno riferimento. Sebbene nel nostro Paese da ben 20 anni i criteri di selezione ed esclusione si basino sui comportamenti assunti e non più sugli orientamenti, molte sono le nazioni che ancora oggi vietano la possibilità di donare a persone omosessuali, anche se con relazioni affettive stabili. Tra queste l’Australia, Paese che negli ultimi anni sta registrando un sensibile incremento di flussi migratori dall’Europa e dall’Italia stessa. Proprio per questo motivo, la rete televisiva pubblica SBS ha voluto pubblicare la storia di un donatore italiano che, nonostante abbia una relazione fissa e stabile, si è visto negare la possibilità di proseguire quell’atto di generosità che, prima di partire, era solito compiere regolarmente all’Avis della sua città.
Lui si chiama Giampiero D’Agostino, è originario della provincia di Brescia e dal 2008 vive in Australia. Da quando è maggiorenne ha sempre donato regolarmente il sangue perché, come lui stesso racconta, «ricevere quel messaggino sul cellulare che, ogni tre mesi, mi ricordava di recarmi nel centro trasfusionale mi trasmetteva un senso di entusiasmo».
Entusiasmo che voleva provare anche in quella che è ormai la sua nuova casa e per la quale gli sarebbe piaciuto dare il proprio contributo civico e volontario come faceva in Italia. Ma non è stato possibile perché Giampiero è omosessuale e in Australia, il fatto di avere rapporti, seppur protetti e sicuri, con un altro uomo nei precedenti 12 mesi, rende una persona non idonea alla donazione. E questo a prescindere dal fatto che il rapporto possa essere considerato a rischio o che si tratti di una relazione monogama. Quando si trovava a Brescia le cose erano diverse: «Dovevo compilare un questionario in cui si dichiarava di non aver intrattenuto rapporti occasionali negli ultimi quattro mesi – spiega – per poi donare con serenità sangue o plasma. Qui invece ho dovuto fare un passo indietro: mi sono sentito sporco e posto di fronte a un qualcosa di ingiusto. Astenersi per 12 mesi non è sostenibile ed è un peccato perché si impedisce a tante persone omosessuali di aiutare chi ha più bisogno». Tanto più che, lo scorso novembre, l’associazione di donatori australiana Lifeblood aveva lanciato un appello per invitare le persone a donare a seguito delle carenze generate dall’emergenza Covid nel Paese. A partire da gennaio il periodo di sospensione per gli omosessuali dovrebbe scendere a tre mesi, ma questo non ha impedito a Giampiero di considerare questa condizione come «discriminatoria».
Un concetto ribadito anche dal presidente di AVIS Nazionale, Gianpietro Briola, interpellato dalla stessa emittente per spiegare le differenze con quanto avviene in Italia: «Dal 2001 il grado di sicurezza degli emocomponenti viene stabilito in base al comportamento di ciascun individuo, indipendentemente dall’orientamento sessuale: se qualcuno ha avuto comportamenti considerati pericolosi non potrà donare il sangue, sia esso eterosessuale o omosessuale. Qualsiasi divieto che tenga conto solo dell’orientamento sessuale va considerato discriminatorio».
Ma qual è la situazione nelle altre parti del mondo? A metà dicembre una svolta importante in tal senso è arrivata dal Regno Unito dove, dal 2021, per omosessuali e bisessuali sarà più agevole donare il sangue. Decade infatti il vincolo dei tre mesi di astensione per coloro che hanno una relazione stabile, così si è espresso il Dipartimento di Salute e Assistenza sociale accogliendo le richieste del FAIR, il comitato per l’assistenza e i rischi individuali, di valutare ogni singolo potenziale donatore in base ai propri comportamenti e non per il suo orientamento. Un po’ come avviene in Italia, insomma. Il vincolo dei tre mesi oltre Manica rimane, invece, per coloro che non hanno una relazione monogama.
Un passo avanti importante è stato compiuto anche negli Stati Uniti dove, fino allo scorso aprile, il periodo di astensione era come l’Australia: 12 mesi. A inizio anno molti politici si rivolsero ufficialmente alla FDA (la Food and Drug Administration, l’equivalente della nostra AIFA per intenderci) chiedendo nuove regole che rivedessero un limite considerato antiquato e discriminatorio e basato sulla concezione che il rischio di trasmissione dell’Hiv sia più elevato tra gli omosessuali che tra gli eterosessuali. Ma la sicurezza del sangue viene riscontrata, su chiunque, al momento del test che viene effettuato prima della donazione: ecco perché, anche per consentire a migliaia di nuovi donatori di fare la propria parte in un periodo critico sotto il profilo sanitario come questo del Covid, il periodo di astensione ora è stato ridotto a 3 mesi.
Eliminato il divieto dei 12 mesi anche in Brasile, dove la corte suprema si è espressa al termine di quattro lunghi anni di lavori mettendo così fine a quella che, come l’aveva definita il presidente della stessa corte Edson Fachin, «un’offesa per la dignità umana degli uomini gay e bisessuali».
E se in Canada viene richiesta un’astensione di tre mesi prima di donare, qui in Europa, in Austra e Germania, per la precisione, bisogna attendere ancora 12 mesi. Ma c’è chi sta peggio. A Taiwan, addirittura, non bisognerebbe avere rapporti per 5 anni, mentre in Cina, Filippine, Grecia, Libano, Singapore e Slovenia la donazione di sangue è assolutamente vietata a chi ha rapporti omosessuali. In nazioni come l’Argentina, la Polonia, la Russia e la Spagna, invece, non ci sono limiti temporali.
Il divieto di donare il sangue per coloro che si dichiarano omosessuali, insomma, vige in molti Paesi del mondo ancora oggi. Motivo che ha portato anche alla nascita di una sezione specifica sulla libera enciclopedia Wikipedia consultabile online dove è possibile verificare, Paese per Paese, quella che è la situazione attuale.